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Dino Villatico's avatar

vivissimo? a me pare catatonico. Giorgio Linguaglossa coglie bene dove stia l'inghippo. Forse è perfino sbagliato usare il termine "elegia", perché definisce un genere letterario che non c'è più, perfino le bellissime elegie di Rilke sono quasi una parodia dell'elegia, e sta lì la loro forza. Ma Rilke ha alle spalle la tradizione tedesca, che già nel settecento e primi ottocento aveva scavalcato i generi. Goethe e Hölderlin, per intenderci. In che cosa era consistito questo scavalcamento? nell'assunzione "filosofica" del soggetto. Schiller e Leopardi lo avevano visto bene. Da questa impostazione è bandito il lamento dell'io, bandita soprattutto la sacralità della poesia. Non ci sono verità da rivelare, ma solo insufficienze attuali da comunicare. Nella tarda, e sublime, Marienbader Elegie solo apparentemente Goethe sembra partire da un dato biografico, il rifiuto di una diciassettenne a unirsi con un settantenne. ma quel rifiuto non è letto dal poeta come una sconfitta della propria pretesa di amore. La legge come una sconfitta della Ragione, perché manca il linguaggio a definirla. Fehllt am Begriff. Manca il concetto. Non è il rifiuto di una ragazzina a lasciarsi scopare da un vecchio, ma il rifiuto della vita a permanere, a essere vita e ad avere il linguaggio per dirla. Il problema dell'Italia è che non abbiamo avuto né un Goethe né uno Hölderlin: gli dei sono morti, e dunque come scrivere poesia in un mondo senza dei? Ma non abbiamo avuto nemmeno un Baudelaire e un Rimbaud. Abbiamo avuto Pascoli. E Croce che ha abolito i generi, ma di fatto riunendo tutto ciò che per lui è poesia all'io lirico. Coglieva bene una tendenza, che dura tuttora: la sparizione dei generi, e con essi della molteplicità dei registri, e il bisogno narcisistico di dannunzianeggiare dicendo io io io. Perfino il "grande" Montale è nella sostanza un dannunziano. Guanda ha aperto una nuova collana di poesia. Sono andato alla presentazione. Non si esce dal seminato.

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Ivan Pozzoni's avatar

Giorgio, magari è un mio errore. Carifi, del 1948, di Pistoia, è vivissimo e, in Ablativo assoluto (2021), continua a dispensare bigongiariate:

Inno che lacera i cortili

notte, notte, notte

certe volte le ho trascorse

nel gelo, in preghiera abissale

nel letamaio d’angoscia.

C'è un secondo Carifi? I lirico/elegiaci si moltiplicano ad infinitum.

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