Roberto Carifi (1948-2018) Grazie per la parola Grazie per la parola che ancora accendi nel mio cuore, per quel raggio che dal bene hai ricevuto in dono e che nel mio abbandono lasci che nasca come fosse grano in un deserto, per quella tua bellezza, per l’orma divina del tuo sguardo, per quella tua dolcezza che vorrei baciare come si bacia l’innocenza, inginocchiato davanti alla tua anima quando una lieve ombra la lascia affiorare sulla carne, per quello che chiami il tuo peccato, per il tremore che turba la tua voce quando mi dici l’indicibile e lasci l’impronta dell’amore in questo cuore arato. Ecco un’altra poesia tutta vergata e vissuta lungo le linee elegiache delle tonalità e della postura del poeta iniziato ai misteri della Musa.
vivissimo? a me pare catatonico. Giorgio Linguaglossa coglie bene dove stia l'inghippo. Forse è perfino sbagliato usare il termine "elegia", perché definisce un genere letterario che non c'è più, perfino le bellissime elegie di Rilke sono quasi una parodia dell'elegia, e sta lì la loro forza. Ma Rilke ha alle spalle la tradizione tedesca, che già nel settecento e primi ottocento aveva scavalcato i generi. Goethe e Hölderlin, per intenderci. In che cosa era consistito questo scavalcamento? nell'assunzione "filosofica" del soggetto. Schiller e Leopardi lo avevano visto bene. Da questa impostazione è bandito il lamento dell'io, bandita soprattutto la sacralità della poesia. Non ci sono verità da rivelare, ma solo insufficienze attuali da comunicare. Nella tarda, e sublime, Marienbader Elegie solo apparentemente Goethe sembra partire da un dato biografico, il rifiuto di una diciassettenne a unirsi con un settantenne. ma quel rifiuto non è letto dal poeta come una sconfitta della propria pretesa di amore. La legge come una sconfitta della Ragione, perché manca il linguaggio a definirla. Fehllt am Begriff. Manca il concetto. Non è il rifiuto di una ragazzina a lasciarsi scopare da un vecchio, ma il rifiuto della vita a permanere, a essere vita e ad avere il linguaggio per dirla. Il problema dell'Italia è che non abbiamo avuto né un Goethe né uno Hölderlin: gli dei sono morti, e dunque come scrivere poesia in un mondo senza dei? Ma non abbiamo avuto nemmeno un Baudelaire e un Rimbaud. Abbiamo avuto Pascoli. E Croce che ha abolito i generi, ma di fatto riunendo tutto ciò che per lui è poesia all'io lirico. Coglieva bene una tendenza, che dura tuttora: la sparizione dei generi, e con essi della molteplicità dei registri, e il bisogno narcisistico di dannunzianeggiare dicendo io io io. Perfino il "grande" Montale è nella sostanza un dannunziano. Guanda ha aperto una nuova collana di poesia. Sono andato alla presentazione. Non si esce dal seminato.
vivissimo? a me pare catatonico. Giorgio Linguaglossa coglie bene dove stia l'inghippo. Forse è perfino sbagliato usare il termine "elegia", perché definisce un genere letterario che non c'è più, perfino le bellissime elegie di Rilke sono quasi una parodia dell'elegia, e sta lì la loro forza. Ma Rilke ha alle spalle la tradizione tedesca, che già nel settecento e primi ottocento aveva scavalcato i generi. Goethe e Hölderlin, per intenderci. In che cosa era consistito questo scavalcamento? nell'assunzione "filosofica" del soggetto. Schiller e Leopardi lo avevano visto bene. Da questa impostazione è bandito il lamento dell'io, bandita soprattutto la sacralità della poesia. Non ci sono verità da rivelare, ma solo insufficienze attuali da comunicare. Nella tarda, e sublime, Marienbader Elegie solo apparentemente Goethe sembra partire da un dato biografico, il rifiuto di una diciassettenne a unirsi con un settantenne. ma quel rifiuto non è letto dal poeta come una sconfitta della propria pretesa di amore. La legge come una sconfitta della Ragione, perché manca il linguaggio a definirla. Fehllt am Begriff. Manca il concetto. Non è il rifiuto di una ragazzina a lasciarsi scopare da un vecchio, ma il rifiuto della vita a permanere, a essere vita e ad avere il linguaggio per dirla. Il problema dell'Italia è che non abbiamo avuto né un Goethe né uno Hölderlin: gli dei sono morti, e dunque come scrivere poesia in un mondo senza dei? Ma non abbiamo avuto nemmeno un Baudelaire e un Rimbaud. Abbiamo avuto Pascoli. E Croce che ha abolito i generi, ma di fatto riunendo tutto ciò che per lui è poesia all'io lirico. Coglieva bene una tendenza, che dura tuttora: la sparizione dei generi, e con essi della molteplicità dei registri, e il bisogno narcisistico di dannunzianeggiare dicendo io io io. Perfino il "grande" Montale è nella sostanza un dannunziano. Guanda ha aperto una nuova collana di poesia. Sono andato alla presentazione. Non si esce dal seminato.
Giorgio, magari è un mio errore. Carifi, del 1948, di Pistoia, è vivissimo e, in Ablativo assoluto (2021), continua a dispensare bigongiariate:
Inno che lacera i cortili
notte, notte, notte
certe volte le ho trascorse
nel gelo, in preghiera abissale
nel letamaio d’angoscia.
C'è un secondo Carifi? I lirico/elegiaci si moltiplicano ad infinitum.