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Dino Villatico's avatar

"Pasolini con Le ceneri di Gramsci pensava ad un Grande Progetto per la poesia italiana, volta ad indirizzare la poesia italiana sostanzialmente ancora petrarchesche verso il traguardo di una riforma linguistica radicale che non rompesse in modo drastico con la tradizione lirica". Lezione indispensabile per chi, ancora oggi, voglia scrivere poesia. L'altro polo è Zanzotto. Diverso da Pasolini ma sostanzialmente affine, anche se superficialmente non appare. E quanto al dialetto - io preferirei dire "parlata locale", è una pratica in cui defluiscono pulsioni poetiche altrimenti indicibili, anche scherzose o iraconde. L'ho praticata anch'io, nelle parlate che conosco, il romanesco, il veneziano, il napoletano. Per esempio in un monologo che scrissi ormai tanti anni fa e che recitai io stesso alla Biennale Teatro di Venezia, allora diretta da Maurizio Scaparro, inserii una "canzonetta" in veneziano. È l'ultima notte che Petrarca (poeta da non confondere con i petrarchisti) trascorre a Venezia e sotto le sue finestre un ragazzo canta questa canzone: "Me brusa el cor, / me brusa tanto, / che s'ciopa el pianto, / e no me stua l'amor". La tradizione non è copia o rimasticatura del già fatto, ma continua reinvenzione delle soluzioni che il passato ha dato ai problemi. Insomma, ciò che a noi sembra oggi consolidato, antico, era al suo tempo nuovo, invenzione. Questa è la tradizione: riproporre quell'invenzione, non l'inventato, il già inventato. Pasolini lo aveva capito come pochi. Le sue "terzine dantesche" sono veramente dantesche proprio perché non ripetono le terzine di Dante.

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Giorgio linguaglossa's avatar

cari amici,

vi voglio rivelare un fatto. Nel 2000 pubblico con le edizini Croce il mio secondo libro di poesia: Paradiso e ne spedisco una copia a Franco Loi.

All’inizio del 2003 ricevo una lettera del poeta milanese in cui c’era scritto: “caro Linguaglossa, mi scuso per non averle risposto prima ma il volume era rimasto sepolto sotto una pila di libri che tengo in lettura nel mio studio, L’ho ritrovo due anni dopo e lo leggo. Devo dirLe che penso sia un capolavoro della poesia italiana del novecento. Con questo libro lei chiude il novecento, lo sigilla. In particolare reputo la parte centrale di notevole spessore.”

Io prendo la penna e un foglio di carta e gli scrivo: “gentile Franco Loi, la Sua lettera è stata per me una sorpresa e mi ha causato gioia. Sono profondamente grato per le sue parole. Condivido il suo parere, anche io considero la parte centrale del libro la più riuscita. Certo, avrei piacere se volesse scriverne una noticina per “Il Sole 24 ore”. Cordiali saluti.

Per informativa, la noticina non apparì mai sul “Sole”.

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Giorgio linguaglossa's avatar

caro Villatico,

ti voglio rivelare un fatto. Nel 2000 pubblico con le edizini Croce il mio secondo libro di poesia: "Paradiso" e ne spedisco una copia a Franco Loi.

All’inizio del 2003 ricevo una lettera del poeta milanese in cui c’era scritto: “caro Linguaglossa, mi scuso per non averle risposto prima ma il volume era rimasto sepolto sotto una pila di libri che tengo in lettura nel mio studio, L’ho ritrovo due anni dopo e lo leggo. Devo dirLe che penso sia un capolavoro della poesia italiana del novecento. Con questo libro lei chiude il novecento, lo sigilla. In particolare reputo la parte centrale di notevole spessore.”

Io prendo la penna e un foglio di carta e gli scrivo: “gentile Franco Loi, la Sua lettera è stata per me una sorpresa e mi ha causato gioia. Sono profondamente grato per le sue parole. Condivido il suo parere, anche io considero la parte centrale del libro la più riuscita. Certo, avrei piacere se volesse scriverne una noticina per “Il Sole 24 ore”. Cordiali saluti.

Per informativa, la noticina non apparì mai sul “Sole”.

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