In realtà una composizione kitchen e/o distopica ha due porte: una di entrata e una di uscita. È la machinerie del linguaggio ciò che trascina il poeta kitchen e distopico nelle sue divagazioni
il principio della non programmazione del non programmatico.
Francesco Paolo Intini SPACEWALKING La spoletta succhiava, succhiava Chi l’avrebbe detto che il naso avrebbe messo radici ogni vena un ramo d’ulivo ogni nervo un viale di ciliegi Ma non era il bimbo a cui si gonfiava la guancia. Poi nell’esplodere si avvertì un senso di pace Il Rio delle Amazzoni dal lato della bocca La dentizione al posto delle schegge E chi controllava la crescita era lo stesso che minacciava Xylella Il numero ci colpì per l’assenza di misura Così veloce nell’apprendere L’hybris del volere Uno e appena dopo l’infinito E in effetti apparve subito chiaro che i primi passi Alludevano a galassie lontane Il dito e subito dopo il dondolo del creato Barava il vuoto camuffando il sorriso Ma intanto anche il mignolo esigeva la sua parte Una tetta per una mina Ogni nocca una rampa di missili Al prosciugarsi degli inchiostri seguì la ninna nanna dei palazzi Il ripristino non fu indolore Si vide la metafora ritirare il bimbo in placenta.
Il magistero della poesia di Francesco Paolo Intini rappresenta una rivoluzione e una esplosione del linguaggio, indica che il soggetto è da sempre stravolto dalla machinerie del linguaggio, e dalla machinerie del montaggio ed è costretto a vagare di qui e di là, senza un fine, senza una finalità, ma dalla fatalità stessa del linguaggio, congegno peraltro magico per eccellenza. In realtà, una composizione kitchen ha due porte: una di entrata e una di uscita, non ha mai veramente (una) fine, la fine è posta d’autorità dall’Autorità scrivente, ma ricomincia subito dopo in un’altra composizione. L’Autorità scrivente non ha altra autorità che quella di interrompere lo scorrere frastico delle parole. Il linguaggio si serve del parlante per mantenere in funzione la macchina del linguaggio. È la machinerie del linguaggio ciò che trascina il poeta kitchen e distopico nelle sue divagazioni condotte sul filo del piano metonimico mediante continui scarti dalla linea prestabilita dalla sintassi e mediante uno o più scarti dalla linea prestabilita del metro, che peraltro risulta assente nella poetry kitchen. Così, si ha una metricità anziché un metro, e una distassia anziché una sintassi, una dismetria anziché un metro che diventa a sua volta il metodo principe di composizione della poetry kitchen. Una volta Lacan si è chiesto: Che cos’è che muove la machinerie del linguaggio?, e si è dato una risposta: è la Cosa, Das Ding, ovvero, il desiderio della Cosa, di Das Ding. Ma allora, qual è la differenza tra la Cosa (Das Ding) e le cose?. Si tratta di una sostituzione. Sul piano linguistico abbiamo sempre a che fare con le cose concrete e reali (la Sache), mai con la Cosa, con Das Ding, che è una Cosa mentale. La differenza fra la Sache (la Cosa che sta nel linguaggio) e la Ding (la Cosa che che sta fuori dal linguaggio) dà luogo a una funzione produttiva, questa differenza installa nel linguaggio e nell’animale che parla, nella sua phonè, una tensione, una direzione di movimento, che può esplicarsi per via metonimica e per via di quella differenza originaria tra Sache e Ding, grazie alla quale soltanto v’è linguaggio. E ciò è ben esemplificato nella poesia di Francesco Paolo Intini e nella poesia kitchen in generale che procede per via metonimica e non programmatica, seguendo il principio della non programmazione del non programmatico. (Giorgio Linguaglossa) Francesco Paolo Intini (1954) è un poeta kitchen e distopico, chi volesse approfondire la nuova poesia può consultare qui: lombradelleparole.wordpress.com
la post-poesia post-elegiaca cha va di moda oggi è fondata su una assunzione ridicola in un mondo collassato da guerre, tensioni internazionali e povertà dilaganti: aulla ssunzione di una Autorità scrivente che scrive dei fatti propri, delle proprie idiosincrasie...