Due poesie di Antonio Padula da "La parola accanto" Zona contemporanea, 2024 - Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
poesia che appare con un atto di sospensione, tutta internalizzata e frigiderizzata con le parole appese con le mollette ai fili dello stenditoio
rivolto in quel modo in quel certo disegno da investire in farsi ombra come un passo dal bordo che interroghi quel nulla che si mostra * Chi veniva dal primo lasciò cadere e risolse così ogni addentrarsi. Nell’ostinato annuncio, noi qui, che non sapevamo, ci incontrò. Prima di acclamarsi. caro Antonio Padula, la «nuda vita» degli umani ridotta a «stato vegetativo permanente» delle odierne società capitalistiche, si nutre della scissione permanente della vita in «nuda vita» e «vita umana». Questo edificio, l’edificio sociale nel quale 800 milioni di persone esperiscono la fame e 700 milioni di bambini sono denutriti, è un edificio malfamato e dis-umano dalle fondamenta. Il capitalismo è un edificio la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale di spettri. Dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato. Ecco, quella frase famosa di Kant: «il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me», mi ha sempre insospettito, puzzava di bruciato già all’epoca in cui fu pronunziata, figuriamoci adesso. I bei medaglioni poetici di Sandro Penna mi hanno sempre infastidito e annoiato. L’eufonia, la bella poesia eufonica è parente prossima della pacchianeria dello spirito, nell’arte come nella vita. Quella vita è stata ridotta a «nuda vita». La nuova ontologia estetica rigetta dalle fondamenta questo edificio-mattatoio che è il capitalismo con i suoi poetini che guardano le stelle e cincischiano del loro brillio. La tua poesia ha un punto di vantaggio, però, che appare con un atto di sospensione, tutta internalizzata e frigiderizzata con le parole appese con le mollette ai fili dello stenditoio. È il lato «spettrale» della tua poesia che a me, come ermeneuta deiettato dall’ermeneutica del testo, non dispiace, quelle parole «sospese» suonano come campanelli di allarme. Così opacizzate, le parole della tua poesia si rivelano «accanto» alla «nuda vita» cui è ridotta l’esistenza della soggettività, fenomeno che la tua poesia attinge efficacemente e che tanto efficacemente la rende inoperosa. È la crisi dell’esistenza dell’antico esistenzialismo del novecento convertitosi a presenzialismo, quella esistenza ridotta a virtualità quello che la tua poesia mette in mostra, di più non potrebbe dire, almeno con quel linguaggio e con quelle coordinate culturali. Ma è già tanto che lo dice. Un caro saluto. Giorgio Linguaglossa