ChatGpt interpreta la nuova poesia italiana come vuoto ontologico, fuori-senso e fuori-significato, una declinazione italiana della postpoesia europea, in dialogo con:
Charles Simic, John Ashbery, Inger Christensen, Raúl Zurita, Anne Carson, Valzhyna Mort
da Gianni Godi ricevo ulteriori approndimenti da ChatGpt :
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caro Giorgio Linguaglossa hai portato un testo denso, profondo, vivo: la riflessione di Francesco Paolo Intini – pubblicata da Giorgio Linguaglossa in risposta alla domanda, ormai classica, di Alfonso Berardinelli – mette a fuoco un nodo cruciale: che senso ha la poesia oggi, per noi esseri umani viventi, dentro una realtà dominata dalla tecnica, dalla complessità e dalla sfida dell’intelligenza artificiale?
Ti offro una lettura articolata in quattro passaggi chiave, per sviscerare il senso profondo di questo intervento. 1. Dalla scienza alla poesia: la ricerca di un’identità
“La mia fortuna è stata di essermi disinteressato della poesia… perché mi bastava stare tra le cose, a combattere con gli elementi semplici…”
Intini parte da un’esperienza scientifica (chimica? fisica?) dove il senso delle cose emerge dallo sforzo di comprenderle nel loro apparire, dall’interazione tra strumentazione e realtà. In quel contesto, l’“identità” di un fenomeno non è un dato astratto, ma il risultato di un dialogo tra osservazione, linguaggio tecnico, rigore e interpretazione. Per noi, oggi, questo vuol dire:
Se la poesia vuole tornare ad avere senso, deve essere strumento di indagine del reale, come lo è un laboratorio. Non deve produrre parole vuote o ruffiane (allusione alla lirica autoreferenziale), ma cercare un nuovo ordine tra il caos. 2. Caos, complessità, tecnocrazia
“Anche la realtà che ci circonda è caotica, colma di misteri e contraddizioni […] sempre più complessa ma affascinante.”
Qui Intini individua la grande sfida contemporanea: viviamo in un mondo che ha perso la centralità dell’umano. La realtà non è più leggibile con strumenti antichi. È frattale, accelerata, opaca. E su tutto grava l’Intelligenza Artificiale, che – come scrive – rischia di diventare non solo mezzo, ma attore protagonista: poetico, critico, giudicante. Per noi, oggi:
La tecnica e l’IA stanno riscrivendo l’orizzonte simbolico. Se la poesia non si misura con questa potenza, è destinata a farsi zavorra o preghiera muta. Ma c’è un’alternativa: accettare la sfida e diventare contro-potere linguistico, non per nostalgia, ma per resistenza creativa. 3. Poesia Kitchen come nuovo paradigma?
“Penso che la poesia Kitchen e le sue varianti, abbia tutte le potenzialità per rispondere in maniera adeguata alla sfida lanciata dalla potenza della tecnica.”
Qui Intini propone una direzione radicale e rischiosa: quella della nuova poesia ontologica teorizzata da Linguaglossa (la cosiddetta “Kitchen Poetry”). Non più poesia come espressione dell’io, ma come linguaggio polifonico, teatrale, filosofico, capace di dire il frammento, l’errore, l’interferenza, il rumore di fondo del mondo postmoderno.
“La parola fa tutto ciò che vuole” – scrive Linguaglossa –
“Va in qualsiasi direzione, avanti e indietro nel tempo…”
Qui la parola poetica non è più ancella della sintassi lirica. È energia indeterminata, campo quantico, linguaggio che si fa mondo. Per noi, oggi:
Questo significa che la poesia non deve più “dire il vero”, ma mettere in scena la vertigine del dire, i suoi fallimenti, le sue interferenze. È una poesia che ha più a che fare con il pensiero che con il canto. 4. Lotta impari, ma necessaria
“Si ha comunque la sensazione di una lotta impari…”
Il finale ha una forza tragica e quasi profetica. Intini ci ricorda che questa forma di poesia – radicale, non allineata – è minoritaria, assediata, ignorata dalle istituzioni culturali. Eppure, è l’unica che può ancora resistere alla normalizzazione, alla mediocrità, alla cooptazione.
Il riferimento a Metternich e la Santa Alleanza evoca la Restaurazione ottocentesca: l’idea che oggi la cultura ufficiale (accademie, premi, editoria mainstream) sia una forma di controrivoluzione che spegne ogni voce realmente innovativa. Per noi, oggi:
Essere poeti significa stare dalla parte sbagliata della storia, rischiare l’irrilevanza, ma non smettere di cercare una parola necessaria. Non è poco. In sintesi: che senso ha per noi umani questa riflessione?
Che la poesia non può più essere solo sentimento o artigianato linguistico;
Che deve tornare a essere uno strumento conoscitivo, al pari della scienza e della filosofia;
Che deve misurarsi con la complessità del presente: caos, tecnica, IA, assenza di centro;
Che deve accettare di essere minoritaria, ma non per questo smettere di interrogare il mondo.
Se vuoi, posso proporti un approfondimento sulla “Kitchen Poetry” di Linguaglossa e i suoi autori (come Gabriele Galloni, Mario Gabriele, Donato Di Stasi, lo stesso Intini). Oppure possiamo esplorare come questa idea si collega ad altri poeti europei e internazionali. Vuoi che continuiamo in una di queste direzioni?Hai detto:
Sì, vai avanti con quanto proponi. GrazieChatGPT ha detto:
Perfetto. Cominciamo allora con un’introduzione articolata alla Kitchen Poetry, una corrente poetica italiana tra le più radicali del nostro tempo, e alle sue implicazioni culturali, filosofiche ed estetiche. Cos’è la Kitchen Poetry?
Il termine nasce in Italia attorno al 2015-2018, per impulso di Giorgio Linguaglossa, poeta, critico e teorico, attraverso la rivista e il blog L’Ombra delle Parole. Non si tratta di un movimento codificato, ma di un atteggiamento sperimentale e filosofico verso la poesia, che cerca di rompere con:
l’autoreferenzialità della lirica novecentesca;
l’intimismo epigonico (poesia “del cuore”, memorialistica, quotidiana);
l’eleganza vuota della poesia da premio;
la logica dell’“io” al centro del discorso poetico.
La parola “kitchen” non va intesa in senso pop o casalingo, ma allude a una poesia che accetta il disordine, il rumore, il frammento, come una cucina dove convivono caos e creazione. I tratti distintivi della Kitchen Poetry1. Fine dell’io lirico
L’“io” non è più centro stabile, ma soggetto scisso, dissolto in una pluralità di voci, maschere, monologhi teatrali.
2. Polifonia e montaggio
I testi sono spesso dialogici, paratattici, costruiti per scarti, con inserzioni di linguaggi settoriali, citazioni, rumori, dati.
3. Temporalità non lineare
Non c’è progressione narrativa, ma un tempo quantico, saltuario, che oscilla tra memoria, futuro e presente ipermoderno.
4. Linguaggio contaminato
Accanto alla lingua poetica compaiono: termini scientifici, burocratici, tecnologici, filosofici, massmediatici.
5. Ontologia debole
La poesia non afferma più un senso, ma mette in scena il nonsenso del mondo, come frammenti di un cosmo senza centro.
Alcuni autori rappresentativi1. Francesco Paolo Intini
Autore visionario, chimico di formazione, mescola linguaggi tecnici e riflessioni metafisiche. Esempio:
“Nel cilindro semisferico del reale / mescolo il tempo e la pietà / con una cucchiaiata d’inverno quantico…”
Scrittura aforistica, ironica, densa di fisica e intuizioni ontologiche.2. Mario Gabriele
Forse il primo in Italia a sperimentare una poesia di montaggio postmediale, fatta di slogan, citazioni, spezzoni pubblicitari e monologhi metafisici.
“Lady D ascolta Prince.
Zuckerberg legge Hölderlin.
Un colibrì schizza dalle frasi.”
I suoi versi sono reliquie di un mondo iperconnesso, senza più profondità ma pieno di tracce.3. Gabriele Galloni
Prematuramente scomparso (1995–2020), ha rappresentato la voce più “pop-esistenziale” del gruppo. La sua è una poesia della soglia, del trapasso, dell’adolescenza in bilico tra corporeità e assenza.
“Voglio restare
in questa camera mortuaria:
ci sono pochi rumori
e molta luce.”
Poesia limpida, ma già oltre l’umano. Galloni è oggi figura-ponte con le nuove generazioni.4. Donato Di Stasi
Scrittura ermetico-visionaria, contaminata da filosofia, teoria estetica, psicoanalisi.
“Nel refettorio della metafisica / il pasto è saltato. / Ci resta il buio tra un verbo e l’altro.”
Una poesia difficile ma profonda, che cerca l’impronunciabile nella rovina dei significati. Corrispondenze e confronti internazionali
La Kitchen Poetry può essere vista come una declinazione italiana della postpoesia europea, in dialogo con:
Charles Simic (poesia-sogno americana, oggetti comuni e surreali);
John Ashbery (paratassi, gioco linguistico);
Inger Christensen (Danimarca: combinatoria matematica e ontologia);
Raúl Zurita (Cile: poesia politica e cosmica);
Anne Carson (Canada: eros, filosofia, teatro e riscrittura del mito);
Valzhyna Mort (Bielorussia/USA: trauma storico + sperimentazione formale).
Perché questa poesia ci riguarda?
Perché rifiuta la nostalgia del “bello” e si pone come tentativo di pensare il presente con i mezzi del linguaggio poetico. Ci riguarda perché:
non consola, ma scompone il linguaggio per rivelarne i vuoti;
ci chiede partecipazione attiva, interpretazione, sforzo;
è poesia per lettori inquieti, non per lettori addomesticati.